Flavien Gousset (25) è diventato famoso su Instagram grazie ai suoi video esplicativi in merito alle votazioni.
In questa intervista spiega la relazione tra disuguaglianza e crisi climatica. I libri di Jean Ziegler, relatore speciale dell’ONU, gli hanno permesso di scoprire questa correlazione.
Auf Instagram wurde Flavien Gousset (25) mit Erklärvideos zu den Abstimmungen bekannt. Im Interview betont er den Zusammenhang zwischen Ungleichheit und Klimakrise. Bücher des Schweizer UNO-Sonderberichterstatters Jean Ziegler haben ihn dazu gebracht, diesen zu erkennen.
Il suo marchio di fabbrica è il tavolo della cucina del suo appartamento. Circa ogni due mesi, Flavien Gousset (25) si siede al suo tavolo con due bevande e gira un video esplicativo sui prossimi temi in votazione: dalla legge sulla caccia al congedo paternità fino alla legge sul CO₂. «La democrazia vive grazie alla partecipazione attiva dei cittadini», spiega in un suo post. Nei suoi video non nasconde il fatto che partecipa al processo democratico con una chiara posizione politica.
Questa combinazione riscuote successo. Sono ormai circa 11 700 i follower iscritti al canale Instagram di Flavien Gousset che con i suoi video raggiunge anche le 150 000 visualizzazioni. Collabora inoltre molto spesso con l’attivista LGBTQ+ Anna Rosenwasser.
Flavien Gousset, si considera un influencer politico?
«Mi piace di più la definizione di attivista della rete. Per «influencer» mi immagino di più una persona che viene pagata per rendere appetibile ai suoi follower un prodotto o un servizio. Questo ha poco o niente a che fare con un video esplicativo. Soprattutto perché dietro ogni video si nascondono quattro giorni di lavoro non pagato».
I suoi video piacciono anche per la sua chiara posizione politica. Come è ci è arrivato?
«Mentirei se dicessi che lo so di preciso. Ma sicuramente per me è stato importante il fatto che dopo la scuola elementare a Bienne mi sono trasferito sulla «costa d’oro» sul lago di Zurigo. La mia vicina a Bienne la mattina presto consegnava giornali, la sera tardi faceva le pulizie in un asilo nido e al contempo cresceva cinque figli in un appartamento da tre locali. E da un giorno all’altro mi sono ritrovato sulla costa d’oro dove la metà dei miei compagni di classe aveva una casa di vacanza in Engadina. Sentivo questa disuguaglianza come qualcosa di profondamente ingiusto. E cercando una spiegazione a questa situazione sono rimasto indignato dal fatto che a livello internazionale è ancora più estrema».
Lei ritiene che questa esperienza sia inoltre legata con la sua concezione della crisi climatica.
«Mentre cercavo le mie risposte ho letto molto. A 15 anni ho scoperto i libri di Jean Ziegler, ex-relatore speciale dell’ONU per il diritto all’alimentazione. In uno dei suoi libri descrive una scena che mi è rimasta impressa nella memoria fino a oggi: una madre riempie una pentola con delle pietre e le mescola finché suo figlio non si addormenta. È costretta a farlo poiché il cibo scarseggia a causa della siccità. Grazie a Jean Ziegler ho capito: c’è una correlazione tra la disuguaglianza, la crisi climatica e la morte».
Torniamo alla sua specialità: può spiegare meglio come funziona questa correlazione?
«Le regioni del mondo che hanno le minori responsabilità in materia di cambiamenti climatici sono quelle che soffrono le conseguenze più drastiche. Lo dimostrano le cifre del Climate Vulnerability Monitor: i ricchi Paesi industriali sono responsabili di circa il 70 per cento delle tonnellate di CO₂ prodotte finora ma sopportano solo il 12 per cento dei costi che ne conseguono. Dall’altra parte troviamo invece i Paesi che storicamente contribuiscono poco ai cambiamenti climatici che devono tuttavia sopportare l’82 per cento dei costi totali. Ciò significa che è proprio in queste aree che siccità, inondazioni e incendi colpiscono più duramente: dove le persone hanno meno risorse per compensare le conseguenze».
Per combattere queste disuguaglianze, lei vive in modo assolutamente sostenibile?
«No, per farlo dovrei tornare a vivere nei boschi e coltivarmi da solo le mie verdure. Non credo nemmeno che un problema di questa portata possa essere risolto solo puntando sulla responsabilità individuale dei cittadini. È dimostrato che è molto più importante che le banche come UBS, Credit Suisse e la banca nazionale smettano di investire enormi somme in gruppi industriali che promuovono i vettori energetici fossili. Questa non deve però essere una scusa per comportarsi in modo dannoso per l’ambiente. Io non mangio carne, non uso l’aereo e cedo solo di fronte a un buon formaggio. Per finire ci si sente bene quando ciò che facciamo riflette ciò che crediamo sia giusto fare».
Che consiglio climatico darebbe a tutti i cittadini svizzeri?
«Ne darei diversi. Al CEO di Glencore consiglierei di smettere di sfruttare la natura e le persone. E a tutti gli altri direi di unirsi a movimenti e partiti per far sì che non gli rimanga altra scelta».
Sein Markenzeichen ist sein WG-Küchentisch: Alle paar Monate setzt sich Flavien Gousset (25) mit zwei Getränken an den Tisch und dreht für jede anstehende Abstimmungsvorlage ein Erklärvideo – von der Abstimmung zum Jagdgesetz, über jene zum Vaterschaftsurlaub bis zu jener zum CO₂-Gesetz. «Demokratie lebt von der aktiven Teilnahme der Bürgerinnen und Bürger», erklärt er in einem Post. Dass er sich mit einer klaren Meinung an der Demokratie beteiligt, verheimlicht er in seinen Videos nicht.
Diese Kombination findet Anklang. Inzwischen verfolgen rund 11’700 Menschen auf Instagram Flavien Goussets Tun. Mit seinen Videos erreicht er bis zu 150’000 Aufrufe. Immer wieder kooperiert er dabei auch mit der LGBTQ+-Aktivistin Anna Rosenwasser.
Flavien Gousset, sind Sie ein Polit-Influencer?
Mir gefällt die Bezeichnung Netzaktivist besser. Unter Influencer:innen stelle ich mir Menschen vor, die bezahlt werden, um ihren Follower:innen Produkte oder Dienstleistungen schmackhaft zu machen. Das hat wenig bis gar nichts mit meinen Erklärvideos zu tun. Teilweise stecken in einem Video vier Tage unbezahlte Arbeit.
Ihre Videos leben auch von Ihrer klaren Haltung. Wie kam’s zu dieser?
Ich würde lügen, würde ich behaupten, das wüsste ich genau. Aber für mich war sicher prägend, dass ich nach der Primarschule von Biel an die Zürcher Goldküste gezogen bin. Meine Nachbarin in Biel trug frühmorgens Zeitungen aus, putzte spätabends eine Kinderkrippe und zog dazwischen in einer 3-Zimmer-Wohnung fünf Kinder gross. Und von einem Tag auf den anderen war ich an der Goldküste, wo gefühlt die Hälfte der Schulkamerad:innen ein Ferienhaus im Engadin hatte. Diese Ungleichheit empfand ich als wahnsinnig unfair. Und als ich mich auf die Suche nach Erklärungen dafür machte, empörte mich, dass sie international noch viel extremer ist.
Sie sagen, diese Erfahrung hat auch mit ihrem Verständnis für die Klimakrise zu tun.
Auf der Suche nach Antworten lese ich viel. Mit 15 Jahren verschlang ich die Bücher von Jean Ziegler, dem damaligen UNO-Sonderberichterstatter für das Recht auf Nahrung. In einem Buch beschreibt er eine Szene, die mir bis heute nicht aus dem Kopf geht: Eine Mutter füllt einen Kochtopf mit Steinen und rührt so lange darin, bis ihre Kinder einschlafen. Sie sieht sich dazu gezwungen, weil wegen einer Dürre Nahrungsmittel fehlen. Durch Jean Ziegler habe ich verstanden: Es gibt einen Zusammenhang zwischen Ungleichheit, Klimakrise und Tod.
Um auf Ihr Metier zurückzukommen: Können Sie erklären, wie dieser Zusammenhang aussieht?
Diejenigen Regionen der Welt, die den geringsten Anteil am Klimawandel haben, leiden am stärksten unter ihm. In Zahlen aus dem Climate Vulnerability Monitor heisst das: Die reichen Industrieländer sind für rund 70 Prozent der bisher emittierten Tonnen CO₂ verantwortlich, aber sie tragen nur 12 Prozent der Folgekosten. Auf der anderen Seite stehen Länder, die historisch sehr wenig zum Klimawandel beigetragen haben, die aber 82 Prozent der Gesamtkosten tragen müssen. Das heisst auch, dass Dürren, Überflutungen und Waldbrände ausgerechnet dort am heftigsten wüten, wo die Menschen am wenigsten Ressourcen haben, um deren Folgen aufzufangen.
Leben Sie angesichts dieser Ungleichheit also absolut klimafreundlich?
Nein, dafür müsste ich mich in den Wald zurückziehen und dort mein eigenes Gemüse anbauen. Ich glaube aber auch nicht, dass sich ein Problem dieser Tragweite nur dadurch lösen lässt, dass Individuen in die Verantwortung genommen werden. Viel entscheidender ist erwiesenermassen, dass Banken wie die UBS, die Credit Suisse oder die Nationalbank damit aufhören, riesige Geldbeträge in Konzerne zu investieren, die fossile Energien fördern. Diese Ausgangslage verstehe ich aber auch nicht als Freipass für klimaschädliches Verhalten. Ich esse etwa kein Fleisch, fliege nicht und werde erst bei sehr gutem Käse schwach. Schliesslich fühlt es sich auch gut an, wenn das, was man macht, mit dem übereinstimmt, was man für richtig hält.
Welchen Klima-Tipp würden Sie allen Menschen in der Schweiz geben?
Unterschiedliche. Dem CEO von Glencore würde ich raten, Natur und Mensch nicht mehr auszubeuten. Und allen anderen, dass sie sich den Bewegungen und Parteien anschliessen sollen, die ihm keine andere Wahl lassen.